Veronica Servente: talento, entusiasmo e una storia senza fine

Ginnastica Artistica News

Pubblicato il: 21/03/2019



La storia sportiva di Veronica Servente inizia con le Olimpiadi e vi torna come a chiudere un cerchio disegnato dal talento e dalla dedizione. Nel 1984 si innamorò della ginnastica artistica guardando i Giochi di Los Angeles in televisione; la palestra divenne la casa di tutte le sue giornate e nel 1992, a soli 15 anni, Veronica si trovò sulle pedane di Barcellona dopo otto stagioni vissute in un lampo e con intensità straordinaria, preludio di nuove soddisfazioni e della messa a punto di un salto che porta il suo nome. Entrò bambina alla Reale Società Ginnastica di Torino e ne uscì atleta (ancora giovanissima) quasi senza accorgersene, divorando i giorni e le settimane con entusiasmo e con un sogno a cinque cerchi, ma soprattutto con una sconfinata passione per la ginnastica.

Insieme alla sua maestra Dora Cortigiani scoprì una predisposizione fuori dal comune. “La testa fa la differenza” afferma Veronica, oggi allenatrice nella stessa società torinese diretta proprio da Dora, “è ciò che permette di imparare i vari attrezzi, ognuno dei quali rappresenta in pratica uno sport a sé; è ciò che spinge a provare e riprovare i gesti cercando di esegurli in maniera sempre migliore, nonostante la fatica e gli errori”. “Ogni esercizio è il risultato di un lungo percorso, un insieme di fotogrammi che devono essere allenati singolarmente e poi ripetuti uno dopo l’altro” aggiunge, “la testa è ciò che permette di rendere automatico il tutto e di eseguirlo con la giusta concentrazione”. “Nella ginnastica avere talento significa anche ‘lasciarsi andare’” prosegue Veronica, “le altezze, i salti, le evoluzioni in aria sono elementi che possono intimorire, ma sono anche ciò che rende speciale questa disciplina”.

Veronica Servente non aveva paura di niente o, in ogni caso, questa non era sufficiente a frenare la sua curiosità e la sua voglia di volare. Nel 1990 venne selezionata tra le migliori tredici ginnaste italiane nel progetto federale di preparazione olimpica guidato dal tecnico russo Mikhail Klimenko. Lasciò Torino e volò a Roma, insieme a Dora Cortigiani e alle compagne di squadra Nadia Simonato e Valentina Rubinetti, con le quali  di lì a poco avrebbe regalato alla Reale anche un titolo italiano di serie A. Il centro dell’Acqua Acetosa – luogo dove sport e storia si uniscono nel fascino della capitale – divenne la sua nuova casa. “Condividevamo molti spazi con i ragazzi del pentathlon e del sollevamento pesi ed eravamo un po’ le ‘mascotte’ di tutti” ricorda Veronica, “ci allenavamo due volte al giorno, andavamo a scuola nel pomeriggio e tornavamo dalle nostre famiglie molto raramente. Era faticoso, ma semplicemente stupendo”.

Veronica ne parla con il sorriso e con gli occhi che brillano. Non dimenticherà mai quella lunga avventura condivisa con altre dodici coetanee, calate in un’esperienza fuori dal comune e unite dall’ambizione dei Giochi. Soltanto lei e l’altra azzurra Giulia Volpi, più grande di sette anni, riuscirono a esaudirla, volando a Barcellona grazie alla qualificazione ottenuta l’anno prima ai Mondiali. Le Olimpiadi furono un nuovo trampolino di lancio per Veronica, che nel 1993 tornò a Torino continuando ad allenarsi con la sua maestra di sempre. Vinse il titolo italiano assoluto, l’oro di specialità al volteggio ai Giochi del Mediterraneo e partecipò ai Mondiali di Birmingham, dove presentò l’esercizio al volteggio che ancora oggi porta il suo nome: il ‘salto Servente’, successione di rondata, flic-flac con mezzo avvitamento in prevolo e salto avanti raccolto con mezzo avvitamento in volo.

“Lavorando su un salto già codificato (Ivantcheva) scoprii che riuscivo a eseguirlo più agevolmente con un mezzo avvitamento in volo” racconta Veronica, “Dora si accorse che il nuovo salto non era presente nel codice dei punteggi, così lo presentammo al primo evento mondiale e venne accettato”. Da allora non molte ginnaste l’hanno replicato e soltanto poche campionesse, anche grazie all’evoluzione dei materiali, sono riuscite ad aggiungere ulteriori elementi di difficoltà al salto di Veronica, entrata di diritto nella storia ginnastica artistica anche per la sua “invenzione”. Titoli, medaglie e risultati di prestigio non le hanno mai fatto perdere l’umiltà e anche una volta chiusa la carriera, nel 1995 in seguito a un infortunio, Veronica non ha quasi mai parlato delle sue imprese sportive.

Per vent’anni non ha proprio messo piede in palestra, quasi a voler allontanare da sé ciò che l’aveva completamente assorbita per oltre un decennio. Finché tre stagioni fa non ha ricevuto la chiamata della sua storica società e deciso di tornare nel “suo” mondo come allenatrice, con la stessa energia e lo spirito giovane di quando era atleta. Ha ricominciato a studiare e tuttora segue i corsi per i tecnici, perchè come assicura lei stessa “rispetto a trent’anni fa la ginnastica non è cambiata più di tanto ma ciò che è molto diverso sono il modo di insegnarla e il metodo di allenamento”. A Veronica piace lavorare con le ginnaste che segue, proprio come amava stare in palestra quando era adolescente. Soffre con loro durante le gare, forse anche più di quanto non le capitava quando era lei a dover salire in pedana. Ha riscoperto la bellezza del rapporto tra maestra e atleta, in una disciplina che forse come nessun altra implica una totale fiducia reciproca.

“Se propongo un esercizio – anche complicato – è perché so che le mie allieve possono riuscirci” conclude Veronica, “se sono severa è per sottolineare il fatto che credo in loro, se alzo la voce è per tenere alta l’attenzione di tutte. Il mio unico obiettivo è aiutarle a tirare fuori il meglio di loro, ciò che rappresenta la vera vittoria nel nostro sport”.

Luca Bianco

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