Filippo Graglia, 25mila kilometri in bicicletta nel cuore dell’Africa

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Pubblicato il: 30/09/2019



“La notte della Namibia mi sta regalando alcuni dei cieli stellati più intensi che ricordi. Tutto è nuovo per me nel cielo nell’emisfero australe. Allora passo tempo a individuare costellazioni e indovinare la forma. Unica certezza nella mia ignoranza: la Croce del Sud balza all’occhio appena sollevato lo sguardo”. Questo scriveva Filippo Graglia sul proprio blog lo scorso 17 giugno, probabilmente sdraiato su un prato accanto alla sua bicicletta, a due passi dalla sua tenda. Poco più di un mese mancava al suo arrivo a Città del Capo, il traguardo ideale che si era posto circa un anno e mezzo prima quando era partito da Castelnuovo Don Bosco. L’ha raggiunto il 22 luglio in una limpida giornata di sole, fermando l’istante in una foto scattata nel Victoria&Alfred Waterfront, cuore storico del porto della capitale sudafricana con la Table Mountain sullo sfondo; e nella tempesta di emozioni che lo pervadeva ha avvertito anche un po’ di solitudine, non potendo condividere quel momento così particolare con nessuno. Una sensazione che nei diciassette mesi di viaggio precedenti non aveva mai provato.

Da solo aveva superato montagne innevate e percorso le piste del deserto; da solo si era addentrato nella foresta pluviale, passando per la savana fino a ritrovare un ambiente tipicamente mediterraneo. Aveva trovato compagnia nella natura, nella sensazione di essere immerso in un’esperienza totalizzante. Al termine di ogni tappa e nei giorni di sosta aveva trovato compagnia nelle persone, “il motivo per cui ho deciso di partire e il dono più grande che ho ricevuto”. “Di cosa necessita una persona che arriva in un luogo a lui sconosciuto, da una situazione difficile, magari con un lungo viaggio alle spalle? – si chiedeva Filippo il 18 gennaio scorso, sulla nave cargo che lo stava accompagnando dalla Nigeria al Camerun – probabilmente ha fame, deve riposare, o ha freddo. Ma sopratutto ha bisogno di qualcuno che gli scaldi il cuore, magari che gli rivolga la parola e gli regali un sorriso”.

Quasi ogni giorno ha trovato accoglienza nelle persone dei posti in cui si trovava; gente di città, di paesi o villaggi, ancorata alle proprie tradizioni pur con una sempre maggior apertura al mondo occidentale. Una misto di passato e presente che destava stupore in lui, esploratore arrivato da lontano; la stessa curiosità che spingeva gli abitanti locali a informarsi su di lui “viaggiatore straniero”, a condividere la propria cultura e le proprie storie. Filippo ne ha ascoltate tantissime e ha contraccambiato raccontando la sua, in inglese, francese, spagnolo, a gesti o con una risata, nelle chiacchiere nate per caso con uomini incontrati per strada, nelle stazioni o negli uffici postali, nelle conversazioni più lunghe con compagni di viaggio occasionali, con chi gli ha offerto da mangiare o con chi gli aperto la propria casa.

Per questo – al di là dei contatti quotidiani con i familiari e di alcuni tratti percorsi con amici che l’hanno raggiunto – non si è mai sentito solo e non ha mai sentito la necessità di tornare indietro prima di concludere il suo viaggio. Ha esplorato la zona occidentale del continente africano, puntando verso sud ma avventurandosi spesso lungo sentieri che lo allontanavano dalla via più diretta. Del resto l’obiettivo non era arrivare presto alla meta ma guardarsi intorno ogni kilometro e ogni minuto, vivendo appieno il territorio. Il 2 gennaio del 2018 ha salutato Castelnuovo Don Bosco e il 18 marzo è sbarcato a Tangeri; il primo maggio in Marocco ha completato i suoi primi 5mila km e il 31 agosto in Sierra Leone i suoi primi 10mila; non era neppure giunto a metà del suo viaggio straordinario.

Pian piano ha iniziato a non pensare più alle distanze percorse – pur continuando ad annotarle – né all’avanzare della settimana, accorgendosi eventualmente del sabato e della domenica per via delle feste cristiane o islamiche che osservava intorno a sé. Spazio e tempo non erano più numeri ma semplicemente la strada, il cielo e l’orizzonte, l’alba e il tramonto. Il sole scandiva le sue giornate, sempre più uguali tra loro avvicinandosi all’equatore, addentrandosi nel cuore dell’Africa. Pedalare era ormai un gesto naturale, una necessità, tanto che – assicura Filippo – i momenti più difficili sono stati i giorni trascorsi nei capoluoghi in attesa dei pezzi di ricambio per riparare la bicicletta, oppure aspettando un visto per varcare la frontiera.

In Congo ha persino contratto la malaria ed è stato costretto a un lungo periodo di sosta, ma quando è ripartito ha realizzato che sarebbe davvero giunto in Sudafrica. A Città del Capo ha resistito fermo qualche giorno, quindi ha costeggiato l’estremità meridionale dell’Africa; poi si è imbarcato su un aereo e il 12 agosto è atterrato a Roma, ha recuperato la bicicletta e si è diretto verso il Piemonte passando per gli Appennini. Un epilogo molto particolare della sua avventura, perché dopo aver visitato luoghi sconosciuti e non privi di insidie si è trovato in un ambiente del tutto familiare come l’Italia. L’8 settembre Filippo è rientrato nel suo paese d’origine e ha trovato tante persone ad accoglierlo; ha abbracciato genitori, parenti e amici e, dopo averne abitate tantissime, si è sentito di nuovo a casa.

Forse si è guardato indietro e ha ripensato per qualche istante ai precedenti 615 giorni di viaggio, ai 25mila kilometri e ai 21 stati attraversati: Italia, Francia, Spagna, Marocco (e Sahara Occidentale), Mauritania, Senegal, Gambia, Guinea Bissau, Guinea, Sierra Leone, Liberia, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Togo, Benin, Nigeria, Camerun, Congo, Angola, Namibia e Sudafrica. Forse ha ricordato migliaia di sguardi e centinaia di aneddoti; il té sorseggiato sul treno più lungo del mondo che taglia il deserto della Mauritania e il ragazzo che lo portò nella propria scuola in Burkina Faso, contattato pochi giorni fa; il Capodanno festeggiato in Benin nella missione guidata dal sacerdote spagnolo, magari anche le perquisizioni della polizia nigeriana. Le foglie ingiallite di quell’albero angolano, acqua e sabbia, il cielo stellato della Namibia. Emozioni, semplicità, felicità: “è ovunque e da nessuna parte. La felicità è dentro di noi”.

Luca Bianco

Foto e pensieri del viaggio di Filippo Graglia sulla sua pagina facebook a questo link

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