Immaginate la pista numero uno del PalaTazzoli senza tribune e senza copertura, con un po’ di prato intorno, uno spogliatoio e un piccolo bar. Foglie che svolazzano in autunno, posandosi sul ghiaccio; nebbia in inverno, con gli agonisti che si allenano fino alle undici di sera o anche alle otto della domenica mattina. È iniziata qui, nei primi anni ottanta, la storia sportiva di Orazio Fagone, classe 1968, originario di Catania ma cresciuto a Torino, campione olimpico di short track nel 1994; poi, dopo un brutto incidente motociclistico, atleta paralimpico di curling e hockey – azzurro ai Giochi Paralimpici del 2006 – e oggi di handbike, disciplina che lo vede impegnato in allenamenti quotidiani e gare nazionali con il THT – Tigullio Handbike Team. Da sempre appassionato di sport a trecentosessanta gradi (ha giocato anche a calcio e a tennis), da sempre un agonista vero, spinto dalla voglia di migliorare e ambire ai massimi livelli; la stessa “fame” che oggi riesce a trasmettere ai ragazzi che allena alla Velocisti Ghiaccio Torino.
«Tornare a praticare sport il prima possibile fu il mio primo pensiero dopo l’incidente – ricorda – per me è sempre stato importante mettermi in gioco, e lo è tuttora». Anche grazie a questa mentalità, dopo un primo periodo in carrozzina, Orazio è tornato a camminare. Nei primissimi anni duemila ha quindi abbandonato il curling, disciplina nella quale ha persino rappresentato l’Italia ai Mondiali, ed è passato al para ice hockey – allora sledge hockey – che più del curling sapeva trasmettergli adrenalina e fargli vivere il ghiaccio in maniera più simile allo short track. «Stava nascendo il primo movimento di atleti in Italia e la prima nazionale, in vista di Torino 2006 – racconta – entrai presto nel gruppo e mi sembrò di tornare a pattinare».
Orazio Fagone disputò i Giochi nella sua città e segnò uno dei tre gol realizzati dagli azzurri nel torneo; fu tedoforo e riscoprì le emozioni a cinque cerchi vissute più di dieci anni prima, diventando uno dei pochissimi atleti nella storia a partecipare sia alle Olimpiadi sia alle Paralimpiadi. Con il para ice hockey smise qualche stagione più tardi, dopo gli scudetti con i Tori Seduti e dopo essere nuovamente diventato papà, senza però mai perdere la passione che pochi mesi fa l’ha riportato in pista. A metà dicembre ha giocato a Torre Pellice la partita organizzata in memoria di Andrea “Ciaz” Chiarotti, ha ritrovato alcuni degli storici compagni di squadra e successivamente ha partecipato a qualche allenamento con la squadra torinese. È quindi rientrato sulla pista del Tazzoli, sperimentata per la prima volta intorno ai dieci anni con la scuola.
«Andavo già sui pattini a rotelle ma sul ghiaccio scoprii davvero la mia passione – spiega – lo short track è il mio mondo, l’ho trovato subito naturale, con la sua velocità e il contatto fisico; mi ha dato tantissimo». Prima di dare il via a una carriera piena di medaglie e di soddisfazioni, Orazio Fagone riuscì ad aggiudicarsi un titolo italiano giovanile di pista lunga. Poi divenne uno dei migliori in Italia nella velocità pura, entrò in nazionale e vestì la maglia azzurra in tre edizioni delle Olimpiadi, vincendo l’oro nella staffetta di Lillehammer. Nel 1997 l’incidente pose fine alla sua prima carriera sportiva e ne avviò una seconda, interpretata con lo stesso spirito di chi sa che può dare ancora tanto, come allenatore e come atleta.
Short Track, un pezzo di storia azzurra
«Rispetto a venti-trenta anni fa lo short track ha cambiato i materiali (le lame e la scarpa), la preparazione è più accurata e questo ha permesso agli atleti di raggiungere velocità maggiori. Oggi in gara si vedono meno ‘guizzi’, meno ‘funambolismi’; ma la staffetta ha mantenuto intatto il suo spettacolo e il suo fascino». Proprio la staffetta ha regalato a Orazio Fagone l’oro olimpico, nel 1994 a Lillehammer, apice di una carriera da quattro titoli e quattro argenti mondiali. Completavano la formazione azzurra Maurizio Carnino, Hugo Herrnof, Mirko Vuillermin e la riserva Diego Cattani; una formazione di campioni, primi italiani di sempre a salire su podi internazionali dello short track, capaci di “aprire una strada” in un’epoca nella quale questa spettacolare disciplina era meno diffusa di oggi.
Orazio Fagone aveva già partecipato a due edizioni delle Olimpiadi, nel 1988 a Calgary e nel 1992 a Albertville. Nella prima aveva conquistato un argento in staffetta e un bronzo individuale, quando lo short track era disciplina dimostrativa, appena affacciatasi nel programma a cinque cerchi. Nel 1994 fu tra le punte di diamante di una nazionale fortissima, che dedicò il titolo alle compagne di squadra Maria Rosa Candido e Lori Vecelio, scomparse tragicamente pochi mesi prima delle Olimpiadi. Gli stessi azzurri avrebbero dovuto difendere il titolo quattro anni più tardi a Nagano, ma due incidenti stradali interruppero bruscamente le carriere di Orazio Fagone, cui venne amputata la gamba destra, e Mirko Vuillermin.
«Rientrai nel giro della nazionale come tecnico e presi parte a una nuova Olimpiade, a Salt Lake City nel 2002 – racconta il primo – poi smisi di allenare; mi sentivo ancora ‘atleta’ e soffrivo parecchio all’idea di non poter più pattinare». Da qualche tempo Orazio Fagone è tornato a seguire i più giovani, proprio a Torino sulla pista in cui è cresciuto, e anche dietro la balaustra sa trasmettere la propria carica e la propria passione per lo sport. La stessa dedizione che dopo l’incidiente gli ha permesso di tornare sul ghiaccio e vivere una nuova esperienza ai Giochi, con la nazionale di para ice hockey a Torino 2006.
Luca Bianco