Tiro con l’Arco: Roberto Airoldi e il pullman che porta al Sambodromo di Rio

News Rio 2016 Tiro con l'Arco

Pubblicato il: 07/10/2016


tiro con l'arco - Roberto Airoldi

Il Sambodromo di Rio De Janeiro dista dal villaggio olimpico una trentina di kilometri; quasi due ore di pullman, quando il traffico è intenso. Roberto Airoldi e gli altri arcieri della nazionale azzurra hanno percorso quel tratto parecchie volte – andata e ritorno – nel corso delle ultime Paralimpiadi. Nei primi giorni di settembre per andare ad allenarsi, svegliandosi intorno alle sette del mattino, partendo dopo la colazione delle otto e tornando a “casa” verso sera. Nei giorni di gara alzandosi quando era ancora notte fonda, prima delle cinque per non rischiare di arrivare in ritardo alle proprie competizioni o a quelle dei compagni di squadra. Roberto Airoldi ha trascorso ore e ore su quel pullman, lungo la Avenida das Americas, tra l’oceano e l’entroterra più verde della città, tra Copacabana e il monte Corcovado con il Cristo Redentore sulla cima, tra la Laguna Rodrigo de Freitas – sede delle prove di canottaggio – e il Maracanã.

Guardando dal finestrino ha visto Rio proprio come l’aveva immaginata, come gliel’avevano raccontata. Niente periferia né un centro, boschi di palme e mangrovie di fronte a spiagge larghissime, negozi e eleganti palazzi d’epoca a ridosso di casette popolari monopiano. “Percorrendo un viale si possono vedere i primi da un lato e le seconde dall’altro” racconta Roberto, “Rio è come un continente, per la varietà di ambienti e di persone; senza vie di mezzo, con tutte le contraddizioni di cui si sente sempre parlare e che i recenti Mondiali e Olimpiadi hanno probabilmente contribuito ad aumentare. Ma la gente è sempre cordiale e gentile, anche i più poveri riescono a sorridere ed essere felici con ciò che hanno”.

Roberto non dimenticherà queste immagini, tra i ricordi più belli del suo primo viaggio in Brasile e del suo esordio ai Giochi. “Ogni tanto tornano in mente anche adesso che sono rientrato al lavoro da un po’ di giorni” assicura, “così come i pranzi con i colleghi mi ricordano le cene e le serate nella gigantesca mensa del villaggio olimpico. Tutto porta ovviamente a pensare anche alle gare, fino alla medaglia conquistata con Elisabetta”.

Il riferimento è al bronzo del mixed team ottenuto in coppia con Elisabetta Mijno, al termine della finale per il terzo posto contro la Mongolia e a conclusione di una giornata lunghissima, piena di pause e di tensione. “C’è stato un momento particolare all’interno della gara” spiega Roberto, “mi capita spesso, durante gli allenamenti, di visualizzare il gesto migliore possibile, di sentire la freccia che esce dall’arco e si conficca nel centro. Il mio primo tiro della finale è stato così, praticamente perfetto, il più bello di tutta la mia carriera”.

Il modo migliore per spazzare via l’agitazione, per lasciarsi alle spalle la semifinale persa contro l’Iran e per mettere pressione agli avversari; preludio della vittoria, dell’urlo di esultanza e degli abbracci con la squadra. “Giudico positivamente anche la prova individuale” prosegue l’arciere di Cameri, “per il semplice fatto di aver partecipato ma anche per come l’ho affrontata e per il piazzamento. Ai sedicesimi contro il brasiliano Rezende ho perso tre voleé per un punto; non posso rimproverarmi nulla, ma so anche cosa posso migliorare”.

Così dopo qualche giorno di pausa Roberto ha ricominciato a tirare. L’obiettivo dei prossimi mesi è correggere qualche dettaglio tecnico, in vista dei Campionati Italiani indoor di febbraio e dei Mondiali di Pechino, in calendario a settembre, primo appuntamento internazionale importante del nuovo quadriennio che punta a Tokyo 2020. È tornato alla quotidianità, abbandonata nelle tre settimane in Brasile; ha ripreso a lavorare, ma nelle domande degli amici e nei flashback ricorrenti il pensiero vola a Rio, al pullman che portava al Sambodromo e al suo carico di ricordi. L’esperienza sportiva più emozionante della sua vita, dal punto di vista agonistico e non solo.

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