Atletica : Renato Canova. Intervista all’allenatore più medagliato nella storia dell’atletica mondiale, ora in Cina.

Atletica News

Pubblicato il: 30/12/2013



canovaaaaaRenato Canova, torinese, classe 1944, con 38 medaglie collezionate nelle varie edizioni dei Campionati del mondo di atletica leggera, è l’allenatore più medagliato della storia dell’atletica mondiale. Attualmente allena la nazionale dagli occhi a mandorla ed e’ stato proprio lui a proporre il comune piemontese di Cantalupa come sede cinese di preparazione per le Olimpiadi di Rio.

Leggi l’articolo sulla Nazionale Cinese di Atletica a Cantalupa

“Ho accettato una sfida – ha spiegato l’allenatore piemontese –  per vedere se si riesce a riportare in alto e senza doping una nazione che è la più numerosa al mondo. Sono stato un mese per vedere se ci fossero delle possibilità di successo e devo dire che ho trovato un grande supporto.”

Ma come vive un quasi settantenne torinese in Cina? E il problema della lingua?

“Io sto bene dappertutto per mia fortuna, – ha dichiarato con semplicità- mangio come mangiano i cinesi e cioè verdura bollita, senza condimento, ma al sale non rinuncio anzi li sto convertendo! A parte il sale, non ho grandi esigenze. Per quanto riguarda la comunicabilità, se non avessi l’interprete sarei finito. Parlano pochissimo inglese, perciò viaggio con l’interprete e ho chiesto che i miei atleti seguano tutti un corso di inglese.”

Si respira un clima politico diverso? Ciò influisce sulla personalità degli atleti?

“Sfatiamo il discorso politico. Non si respira il comunismo come i giornali ci fanno credere, è ovvio che, a livello di opportunità, la Cina è partita da un tentativo di colmare enormi diseguaglianze con un approccio che era sbagliato, ma che, in quel momento, era l’unico possibile.  Le pari opportunità devono essere all’inizio della vita, non alla fine. Sfatiamo anche il tema della spersonalizzazione. Anzi sono certo che gli atleti si integreranno tranquillamente a Cantalupa, perché sono in grado di sorridere, parlare, vogliono comunicare e confrontarsi, nonostante il problema della lingua. Come in ogni paese e contesto ci sono atleti con più o meno personalità. Non è un regime che la abbatte, ma va detto che gli allenatori e il sistema di allenamento è vecchio. Non esiste colloquio o empatia con gli atleti, la rigidità è ancora molto forte.  Sono rimasto sorpreso se non quasi commosso quando le ragazze prima di ripartire mi hanno regalato un album con le foto dei momenti insieme, con dediche in inglese, per loro molto difficili. Si sono affezionate, nonostante il grande scoglio della lingua e i due mesi scarsi passati insieme. Si è creato un feeling incredibile ed è per questo che ho sempre prediletto gli sport individuali.”

Cioè?

“Ho sempre amato lo sport individuale perché si interviene direttamente  e liberamente sul singolo. Non è come gli sport di squadra, in cui il soggetto da allenare è il gruppo, in cui puoi avere una squadra forte composta da gente media e una squadra media di gente forte. Nell’atletica c’è l’individualizzazione dei problemi, del lavoro e dell’allenamento. Ciò comporta un maggiore impegno di tempo, ma si è liberi di avere un rapporto più stretto e un allenamento personalizzato. Gli atleti che seguo attualmente, sono sempre stati abituati ad allenamenti di squadra e approcci di gruppo, aspetto controproducente per un qualunque sport individuale. Si pongono nei confronti della gara come spettatori dall’interno e non da attori,  è qui che subentra la personalità.”

Qual è l’essenza del lavoro di allenatore?

“Uno dei punti centrali è far diventare normale nella testa di un atleta, quello che all’inizio sembra lontanissimo. Questo è qualcosa che i cinesi ancora non hanno, perché sono abituai a un sistema non meritocratico. Qualunque sia il risultato che ottengono sono stipendiati allo stesso modo e questo vale per lo sport come per lo studio. Non conoscono la soddisfazione, così come accade in generale alle nuove generazioni. Il mio obiettivo è che la conoscano e che la vivano. In questo l’atletica è perfetta perché ha il vantaggio  della misurabilità su se stessi. ”

Qual è l’essenza dell’atletica quindi? La soddisfazione?

“Esatto. In atletica non ti diverti, non è un gioco come la pallacanestro. Non è che un calciatore per divertirsi fa la maratona. Il problema è capire la differenza tra divertimento e soddisfazione.La seconda è una conquista, un qualcosa che dipende dalla fatica e che fa crescere la sicurezza  in sé stessi. Ci si deve dedicare. Il primo, etimologicamente,  è un modo per dimenticare qualcosa di noioso. Elevando il divertimento a primo tra gli impegni, tutti gli altri vengono distrutti. La soddisfazione e quindi la felicità si perdono. Ho avuto dei keniani fortissimi che son stati in grado di vincere una sola volta, perché avevano le gambe, ma non la testa.  Per questo credo fortemente che l’allenatore sia prima di tutto un educatore. Se non riesci a portare all’atleta certi valori, non sarà mai un campione”.

Un consiglio per tutti, da educatore?

“Cito Papa Francesco. ‘Bisogna avere il coraggio di sognare’. Non cose irraggiungibili, ma sempre e costantemente,  sognare un po’ di più di quello che hai.”

Sottolineiamo che, a dichiararlo, è un torinese che è riuscito a portare la Cina in una cittadina di poco più di 2000 anime, tra i monti piemontesi.      

 

Tatiana Zarik

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